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Eluana, il PD e la destra miope

(L'Unità sabato 2 agosto) L'articolo di ieri di Miriam Mafai su Repubblica in merito alla drammatica vicenda di Eluana Englaro discussa giovedi alla Camera dei deputati deforma completamente la posizione del Partito Democratico.
Innanzitutto non c'è stato silenzio. Il PD ha espresso formalmente la propria posizione all'inizio del dibattito in Aula attraverso il mio intervento, che tutti hanno potuto ascoltare e, mi creda con grande attenzione. L'intervento è stato riportato dalle agenzie ed è facilmente leggibile come sempre nello stenografico immediato della Camera.
Non c'è stata astensione, perché il Partito Democratico, convinto che la proposizione del conflitto da parte del PDL fosse una mossa tattica, manifestamente infondata dal punto di vista costituzionale e chiaramente strumentale ha scelto di non partecipare al voto, comportamento che si adotta, quando il provvedimento è del tutto estraneo alle regole parlamentari. Non è un caso del resto che un simile atteggiamento sia stato tenuto anche da un gruppo non trascurabile di liberali del centro destra (Della Vedova, Chiara Moroni, La Malfa ed altri).
Non c'è stata quindi nessuna “fuga del PD” dall'esame del problema, come si legge nel titolo dell'articolo di ieri. E' vero esattamente il contrario: è stata la maggioranza che attraverso la proposizione di un improbabile e rischiosissimo conflitto di attribuzioni ha messo in pratica una vera e propria “fuga dal Parlamento” dalla via maestra di una soluzione legislativa.
Su questi temi delicatissimi della disciplina della fine della vita c'è stato, soprattutto al Senato nel corso della XV legislatura, un ampio dibattito che aveva anche registrato positive convergenze. Un intervento legislativo equilibrato sarebbe oggi possibile sulla base, del divieto, da un lato, di praticare ogni forma di eutanasia e, dall'altro, dell'accanimento terapeutico, si potrebbe disciplinare al contempo l'alleanza nella terapia tra medico e paziente,l'equa distribuzione delle cure palliative e l'accompagnamento terapeutico. Questi concetti sono presenti, del resto, in un ordine del giorno presentato dal PD al Senato su questa vicenda.
La strada del conflitto di attribuzioni davanti alla Corte costituzionale è costellata di errori di grammatica e rischia di diventare un pericoloso boomerang.
Non si possono sollevare conflitti contro provvedimenti giurisdizionali non ancora definitivi e il ricorso di ieri del procuratore generale di Milano contro il provvedimento della Corte di appello ne è chiaramente la prova; non si può contestare attraverso il conflitto il diritto dovere dei giudici di pronunciarsi anche nel caso di incompletezza della norma legislativa, perché in mancanza di una legge più chiara è il giudice del caso concreto che deve bilanciare i principi fondamentali anche costituzionali (art.12 delle preleggi).
Non si può in ogni caso considerare una sentenza per quanto importante della suprema corte di cassazione, alla stregua di un atto legislativo perché nel nostro ordinamento quella decisione vale solo per il caso concreto deciso e non ha alcun valore di precedente vincolante in altri casi.
Ma c'è un rischio ancora più pericoloso nel voler chiamare in causa la Corte costituzionale come una sorta di Giudice di ultima istanza sulla vicenda Englaro.
Il rischio estremamente concreto è che la Corte rifiuti molto presto un conflitto di attribuzioni così inconsistente e finisca col porre inevitabilmente, nella lettura mediatica, un ancor più pesante sigillo su tutta questa vicenda.
Di fronte ad un atteggiamento della maggioranza così miope e così irrispettoso del ruolo proprio del Parlamento che è quello di fare le leggi e di non impedire ai giudici di fare il loro dovere, non partecipare a questa messa in scena, era il minimo che si potesse fare.
Il rispetto per le istituzioni di garanzia significa anche non cercare di coinvolgerle in riti chiaramente strumentali.

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Conflitto alla Corte sul caso Englaro: una fuga dal Parlamento

(Intervento in Aula il 31 luglio) Signor Presidente, onorevoli colleghi, sento alta la responsabilità nell'esprimere, a nome del Partito Democratico, un orientamento – sia pure di metodo – su un tema così drammatico, come quello che oggi abbiamo di fronte e che investe direttamente le coscienze degli individui e di tutti noi e che tocca una delle questioni fondamentali di ogni civile convivenza.

Sul merito di un simile problema, che coinvolge la disciplina della fine della vita, che richiede un bilanciamento difficilissimo tra valori fondamentali, presenti anche nel testo costituzionale, è legittimo nutrire dei dubbi, è legittimo avere sensibilità diverse ed è legittimo che queste sensibilità diverse si trovino anche in un grande partito come il nostro, così come credo si trovino anche all'interno di altri partiti e gruppi che siedono in questa Assemblea.

Nel corso della XV legislatura c'era stato, su questi temi, soprattutto al Senato, un ampio dibattito parlamentare, ed anche i successivi sviluppi nel confronto tra le parti politiche avevano condotto a significative convergenze sulla portata di un possibile ed auspicato intervento legislativo. Un intervento legislativo equilibrato avrebbe consentito con chiarezza di disciplinare, da un lato, il divieto di praticare ogni forma di eutanasia e, dall'altro, quello dell'accanimento terapeutico, realizzando al contempo l'alleanza nella terapia tra medico e paziente, l'equa distribuzione delle cure palliative e l'accompagnamento terapeutico.
Tutti questi concetti sono contenuti in un ordine del giorno presentato al Senato in questi giorni dal gruppo del Partito Democratico su analoga questione.
Naturalmente, nell'attesa di una più matura e completa disciplina legislativa su questi problemi, molte vicende della vita quotidiana hanno portato singole persone, famiglie e comunità scientifiche a misurarsi inevitabilmente con questi problemi, a dovere assumere, nella dura realtà di tutti i giorni, decisioni drammatiche e in alcuni casi addirittura tragiche.

Al centro di una di queste vicende estremamente drammatiche si colloca la storia tragica, che tutti noi abbiamo vissuto attraverso i giornali e la televisione, di Eluana Englaro, la non meno grave tragedia vissuta dal padre di lei, investito di una doppia pesantissima responsabilità, e la tormentata vicenda giudiziaria, che ha portato, dopo ben tre procedimenti giudiziari, iniziati nel lontano 1999, dopo numerose e contrastanti pronunce giudiziarie, a una decisione della Suprema Corte di cassazione dell'ottobre 2007 e ad un successivo verdetto della corte d'appello di Milano.

I tribunali e le corti, attraverso i vari gradi del giudizio, hanno assunto, con riferimento al caso concreto che loro è stato prospettato, una decisione indubbiamente di natura giurisdizionale, che i giudici, secondo le regole del nostro ordinamento, avevano l'obbligo giuridico di assumere.

Anche se la regola legislativa è incompleta, i principi fondamentali in materia di interpretazione, contenuti nell'articolo 12 delle preleggi, impongono in ogni caso al giudice di pronunciare una sentenza. Quella sentenza non è una legge, ed anche se pronunciata dalla Suprema Corte di cassazione non assume nessun rilievo di carattere generale, tipico delle leggi. Non s'impone nel nostro ordinamento come un precedente assoluto e vincolante, ma esaurisce tutta intera la sua efficacia all'interno del caso concreto esaminato.

La stessa Corte costituzionale – la cito perché ci rivolgiamo alla Corte costituzionale – ha chiarito molto bene le cose che ci riguardano nella sentenza n. 347 del 1998, ed anche in altre successive. La Corte ha posto con chiarezza due principi, che si devono leggere in stretta connessione tra di loro.
In base al primo principio, l'individuazione di un ragionevole punto di equilibrio tra i diversi beni costituzionali coinvolti, nel rispetto della dignità della persona umana, appartiene primariamente alla valutazione del legislatore. Tuttavia – afferma la Corte in quel caso, ma si applica anche al nostro caso – nell'attuale situazione di carenza legislativa spetta al giudice ricercare, nel complessivo sistema normativo, l'interpretazione idonea ad assicurare la protezione degli anzidetti beni costituzionali.

Sollevare oggi, come si pretende di fare sulla base della decisione dell'Ufficio di Presidenza, un conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale contro queste decisioni della magistratura, rappresenta una risposta sbagliata in termini di metodo ad un problema estremamente serio.

È sbagliata questa soluzione perché le regole sul conflitto di attribuzione ripetutamente ribadite dalla Corte costituzionale non consentono di intervenire in casi di questo genere, dove non vi è carenza di potere giurisdizionale, ma si configura solo un possibile errore in judicando, sottoponibile ad altri rimedi.
È una risposta sbagliata perché rischia di fare della Corte costituzionale una sorta di giudice di appello sul caso concreto – cosa che la Corte ha sempre rifiutato – con il rischio che nell'interpretazione dei media una risposta negativa della Corte stessa appaia una conferma delle sentenze in atto.
Ma è, soprattutto, una soluzione sbagliata perché rappresenta una sorta di dichiarazione di impotenza da parte del Parlamento, un tentativo improbabile e non privo di ambiguità di cercare una qualche soluzione a questo problema che non potrà arrivare al di fuori dell'organo della rappresentanza popolare.
Per questi motivi, signor Presidente, onorevoli colleghi, il Partito Democratico non intende condividere un percorso che potrà rivelarsi infondato alla luce dei precedenti della Corte, e che sostituisce comunque la via maestra della soluzione legislativa affidata al Parlamento.
Dichiaro pertanto che il gruppo del Partito Democratico non intende partecipare al voto sulla proposizione di questo conflitto di attribuzione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico – Congratulazioni).

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Parlamento in ginocchio

Solo decreti legge nei primi tre mesi di legislatura, contro una prassi costante che ne prevedeva al massimo 3 al mese. L'unica proposta di legge per salvare il Premier (il c.d. lodo Alfano) è passata alla Camera in soli tre giorni con una forzatura regolamentare spaventosa, consentita dal suo Presidente. Al Senato si è ricorsi allo stesso rito sommario. Più o meno cinque giorni per il complessivo esame parlamentare di un testo che nella vicina Francia di Chirac aveva richiesto 5 anni (dal 2002 al 2007).
Spesso sono aggirate le prerogative del Presidente della Repubblica perché vengono inserite nei decreti, durante l'esame alle Camere, disposizioni che non avrebbero ottenuto la firma iniziale del Capo dello Stato (clamoroso il caso della norma blocca processi inserita nel decreto sulle sicurezza). Prassi ancora più pericolosa e sempre in dispregio delle prerogative presidenziali è quella di “giocare” con i decreti legge trapiantandone allegramente uno nell'altro. Questo è avvenuto con i decreti Alitalia ( d.l. n. 80/2008 e n. 97/2008); è avvenuto ancora con i decreti rifiuti in Campania (d.l. n.90/2008 e n. 107/2008 ) ed ora, con il decreto c.d. “milleproroghe”, l'operazione è ancora più spregiudicata perché si fondono insieme ben tre decreti legge (n.97/2008,nn.112e 113/2008). Tutto questo con la benedizione ovviamente dei Presidenti delle Camere!. Sono proprio curioso di sapere come giudicherà, a suo tempo, la Corte costituzionale questa prassi che calpesta vistosamente gli articoli 72, 77 e 87 della Costituzione:
La fiducia posta sul decreto economico fiscale (la terza,manon certo l'ultima, in questo primo scorcio di legislatura) è stata particolarmente odiosa perché ha impedito qualsiasi discussione o confronto su un provvedimento di un centinaio di articoli che costituisce la prima manovra economica del Governo: una specie di finanziaria anticipata.
Anche questo precedente è assolutamente nuovo e assolutamente negativo perchè le finanziarie hanno già conosciuto maxiemendamenti e fiducie, ma sono comunque partite come leggi ordinarie e con un adeguato tempo per l'esame parlamentare.
In questo caso si è partiti invece con lo strumento del decreto legge e con tempi spaventosamente compressi. All'interno c'è poi una “perla” dal punto di vista costituzionale: si autorizza il Ministro dell'economia a modificare con atto amministrativo la struttura del Bilancio, come se non esistesse l'art.81 della Costituzione che ha una rigida riserva di legge.
In aggiunta a tutto questo la più dura svolta xenofoba della storia recente del nostro paese contro ricongiungimento familiare, rifugiati e comunitari è stata realizzata in semiclandestinità parlamentare utilizzando decreti “correttivi”ed una delega legislativa del centro sinistra del tutto inidonea allo scopo.
E' bastato invece un semplice atto amministrativo (Decreto Presidente del Consiglio) ed una serie di ordinanze con un aggancio del tutto abnorme alla protezione civile per avviare la schedatura di massa dei rom e dei bambini rom. Per fortuna che alle proteste vibranti dell'opposizione e di tutto il mondo delle associazioni e della Chiesa si è aggiunta la clamorosa censura del Parlamento europeo.
E' evidente che procedendo in questo modo, con il disprezzo totale delle più elementari regole parlamentari, con una maggioranza amplissima e militarizzata ai suoi ordini, con un Governo prono ai suoi piedi che approva la manovra finanziaria in 9 minuti e mezzo, è evidente che in queste condizioni Berlusconi, che già ha una naturale propensione a sentirsi onnipotente, si senta addirittura un padreterno e minacci di voler fare subito la riforma della giustizia, la compressione delle intercettazioni e il ripristino dell'immunità parlamentare. Ritiene di aver messo in ginocchio il Parlamento e ne vuol trarre le conseguenze, perdendo ogni pudore.
Sa benissimo il Presidente del Consiglio che l'immunità parlamentare, prevista nel testo originario della Costituzione, era stata tolta di mezzo, nel 1993, dopo tangentopoli con una legge costituzionale, approvata a larga maggioranza. Sa benissimo il Presidente che la fortissima spinta dell'opinione pubblica verso quella modifica nacque non solo per effetto di tangentopoli ma a causa di una continua e disastrosa prassi parlamentare che con criteri del tutto corporativi proteggeva i parlamentari di fronte a reati e ad incriminazioni di ogni tipo, attinenti alla loro vita privata, che nulla, proprio nulla avevano a che fare contro le invasioni delle prerogative parlamentari (alcuni esempi: emissione di assegni a vuoto, truffa, concorso continuato in peculato, concussione, appropriazione indebita, truffa allo Stato e ricettazione).
Il ritorno a quelle disposizioni e a quei privilegi oggi sarebbe considerato assolutamente intollerabile. Si darebbe alla maggioranza parlamentare un potere pressoché assoluto di autoassolversi.
E' già molto discutibile la prassi parlamentare che in attuazione dell'art.68, primo comma, della Costituzione oggi “salva” dal processo parlamentari che vanno ben oltre la manifestazione di opinioni e di voti legati all'esercizio delle funzioni: ci sono cittadini comuni che per effetto di queste prassi non riescono ad avere giustizia.
I problemi della giustizia sono altri: si tratta di darla giustizia, non di toglierla. Si tratta di fare una riforma con la magistratura, non contro la magistratura, in attuazione della Costituzione, non contro la Costituzione. Una riforma che ampli e non riduca la possibilità dei cittadini di partecipare, di conoscere il processo.
Restano prioritari ed intangibili i due principi stampati a caratteri cubitali nella nostra Carta: giustizia efficace, uguale per tutti ed esercitata in nome del popolo.

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Governo riduce diritti dei cittadini comunitari.Si profila pericoloso 'regime di polizia' per comunitari: probabile infrazione europea

"La commissione Affari costituzionali della Camera ha dato parere favorevole, con il voto contrario e un parere alternativo del Pd, allo schema di decreto legislativo che restringe il diritto dei cittadini dell'Unione europea di circolare liberamente nel territorio italiano". Lo rende noto il vice presidente della I commissione di Montecitorio, Roberto Zaccaria, che aggiunge: "questa impostazione riduttiva dei diritti dei cittadini comunitari e dello schiacciamento sulle posizioni degli stranieri è il motivo conduttore che caratterizza i tre atti fondamentali che si stanno discutendo in questi giorni in parlamento: dal decreto sicurezza, al decreto legislativo sulla libera circolazione dei cittadini Ue, e perfino al decreto fiscale su cui il governo si appresta a votare la fiducia. Questa impostazione si pone in contrasto vistoso con i principi della giurisprudenza costituzionale italiana e con gli orientamenti della Corte di giustizia europea. E' quindi molto probabile che, dopo la censura che il parlamento europeo ha rivolto all'Italia sulla schedatura dei bambini rom, la Commissione aprirà una nuova procedura di infrazione nei confronti di una così plateale violazione dei principi comunitari".
"Il decreto legislativo – prosegue – non solo impone l'obbligo di iscrizione anagrafica dopo tre mesi di presenza in Italia nei confronti di qualsiasi cittadino comunitario, ma sanziona in maniera abnorme anche una qualsiasi omissione amministrativa trasformandola in una ragione tassativa di pubblica sicurezza che può giustificare l'allontanamento immediato. Si tratta di una misura chiaramente sproporzionata e discriminatoria in chiaro dispregio della direttiva Ue sulla libera circolazione dei cittadini comunitari (38/2004). Così come è sproporzionata e discriminatoria la norma che permette la restrizione di un qualsiasi cittadino comunitario in attesa di allontanamento in un centro di espulsione e identificazione come se si trattasse di un delinquente comune. Per non parlare del fatto che se il giudice non si pronuncia entro 90 giorni dal ricorso dell'interessato, il malcapitato ricorrente è comunque allontanato dal nostro Paese anche se l'omissione della pronuncia non dipende da lui. Una sorta di 'silenzio rifiuto' del tutto intollerabile di fronte al fondamentale diritto di agire in giudizio che il nostro ordinamento costituzionale riconosce a tutti. Così – conclude Zaccaria – in luogo dei principi liberali della nostra costituzione e dell'Europa si profila un pericoloso 'regime di polizia' per i cittadini Ue.

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Inaccettabile stretta xenofoba sul diritto d'asilo

Le norme votate giovedì in Commissione Affari costituzionali della Camera sul diritto d'asilo sono sbagliate e restringono ingiustamente un diritto sacrosanto.
Proprio mentre l'aula di Montecitorio votava con incredibili forzature costituzionali norme di privilegio per il presidente del Consiglio, il governo ha strappato un decreto legislativo di chiara impronta xenofoba contro i poveri esuli che fuggono dall'oppressione nei loro Paesi.
In Italia manca ancora una legge che dia attuazione all'articolo 10 della Costituzione sul diritto di asilo e ora il governo, anziche' procedere all'attuazione, si pone addirittura contro le direttive europee.
Si restringe, in contrasto con la direttiva 85 del 2005, la liberta' di circolazione dei richiedenti asilo; si trattengono nei Cpt come fossero delinquenti comuni; si circoscrive l'effetto sospensivo del ricorso; si compromette la loro sicurezza con l'espulsione in Paesi per loro pericolosi.

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Sconcerto per i tempi di esame del Lodo Alfano: norme che incidono sulla Costituzione non si possono votare in poche ore. E' violato l'articolo 72 della Costituzione

Occorre segnalare tre profili critici del lodo Alfano.

Quanto alle modalità di approvazione, occorre rilevare come i tempi di esame del lodo in Commissione e in Aula sono incompatibili con un approfondito esame di un provvedimento di tale importanza e pongono un serio problema di compatibilità con le regole che la Costituzione indica per l`esame delle leggi in Parlamento. In queste condizioni non esiste agibilità per un`opposizione parlamentare e si rendono indispensabili anche altri strumenti per richiamare l`attenzione dell`opinione pubblica. E` sconcertante solo pensare che si possano votare in poche ore delle norme che incidono così profondamente sui principi di eguaglianza e di equilibrio fra i poteri dello Stato, temi sui quali c`è stato fra l`altro il richiamo di oltre 100 costituzionalisti, il cui appello è stato sottoscritto in pochi giorni da 100 mila cittadini.

Quanto al tipo di disegno di legge cui si è ricorsi (un disegno di legge ordinaria), va detto come la materia in esame dovrebbe essere disciplinata con fonte di rango costituzionale: la sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2004 ha lasciato impregiudicata tale questione.

Quanto al merito, va detto come la normativa in esame permette la sospensione dei processi per reati, anche comuni, perfino se commessi prima dell'assunzione della funzione, con conseguente violazione dell'articolo 3 della Costituzione. La disposizione in esame, sovrapponendosi a quella di cui agli articoli 90 e 96 della Costituzione ed estendendo la tutela anche ai Presidenti della Camera e del Senato, crea un sistema del tutto disorganico a tutela delle immunità delle alte cariche dello Stato.

La norma presenta dunque vizi di incostituzionalità sia materiali che di procedura, ponendosi in contrasto con l'articolo 72 della Costituzione e con le norme del Regolamento della Camera che di tale articolo costituiscono diretta attuazione.
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SICUREZZA: SU RICONGIUNGIMENTI DECRETO LEGISLATIVO XENOFOBO

La commissione Affari costituzionali della Camera ha dato parere favorevole al primo dei tre decreti legislativi del 'pacchetto sicurezza', relativo ai ricongiungimenti familiari. Il Partito Democratico ha votato contro la proposta di parere della relatrice ed ha presentato un parere alternativo. A giudizio di Roberto Zaccaria, vice presidente della Commissione: 'Il decreto e' ispirato da un intento xenofobo che restringe in maniera inaccettabile il diritto dei cittadini stranieri regolarmente presenti nel nostro territorio di poter ricostruire l'unita' della famiglia di origine. Vi sono palesi violazioni della direttiva europea – sostiene – con riferimento al ricongiungimento del coniuge minorenne e dei figli maggiorenni in condizioni di gravi inabilita'. Con riferimento al reddito minimo di cui lo straniero deve dimostrare la disponibilita' per chiedere il ricongiungimento, e' stabilita una barriera eccessiva e comunque produttiva di effetti discriminatori rispetto ai cittadini italiani. Il test del Dna viene inoltre consentito senza il rispetto delle condizioni tassative indicate dal garante della Privacy. Si tratta – conclude – di un provvedimento viziato da incostituzionalita' nel metodo e nel merito'. (ANSA).
Secondo le nuove norme, "un immigrato che volesse ricongiungere una famiglia di tre componenti, lo potrebbe fare solo se dimostrasse un reddito di 2800 euro mensili".
"Un'autentica discriminazione che mette una barriera insormontabile al legittimo desiderio di chi desidera riunire la sua famiglia".ROMA (ITALPRESS) –

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I profili di incostituzionalità del decreto sicurezza (dall'intervento di Giovanni Cuperlo alla Camera)

Pubblichiamo l'intervento dell'on. Giovanni Cuperlo del 2 luglio 2008 in Commissione affari costituzionali della Camera in merito al c.d. decreto sicurezza (decreto – legge 23 maggio 2008, n. 92). L'intervento, di cui condividiamo l'impostazione, si concentra (tra l'altro) sui profili di incostituzionalità del provvedimento, connessi agli istituti dell'aggravante della clandestinità e della sospensione dei processi in corso.

Giovanni CUPERLO (PD) osserva come da molti mesi la questione della sicurezza sia al centro dell'attenzione e dell'inquietudine del Paese e dell'opinione pubblica. Lo è per ragioni che si potrebbero definire strutturali. Dal momento che ovunque, in Europa e non solo, il tema si manifesta con caratteristiche in parte sconosciute e come conseguenza di un incremento progressivo dei flussi migratori. Ma lo è anche perché una successione di gravi episodi di cronaca, come la tragedia avvenuta a Tor di Quinto lo scorso anno, hanno accentuato il profilo di un vero e proprio allarme sociale e ciò ha reso più urgente, sino dalla passata legislatura, il varo di misure ordinarie e straordinarie di contrasto della criminalità diffusa.
Per molti versi la stessa campagna elettorale ha fatto dell'argomento uno dei perni del confronto. A seguire l'attenzione più o meno costante dei media, i ripetuti sondaggi d'opinione, una certa emotività indotta dalla cronaca hanno consolidato questo primato.
E dunque non vi è stupore per il fatto che il Governo abbia ravvisato proprio su questo terreno l'urgenza di un intervento ambizioso nella portata e negli effetti previsti. Per la precisione un decreto legge e un disegno di legge che compongono – come più volte è stato ricordato – un quadro d'insieme della strategia che l'Esecutivo e la maggioranza hanno scelto di seguire su un fronte così sensibile.
Da parte dell'opposizione non c'è stato su questo un atteggiamento pregiudiziale. Ciò non solo per la scelta del Governo di mutuare una serie di norme e soluzioni che già erano contenute nel cosiddetto pacchetto Amato, che solo l'interruzione anticipata della legislatura ne ha bloccato l'iter. Sottolinea come l'assenza di un atteggiamento pregiudiziale veniva dal riconoscere nel problema quei caratteri di gravità che giustificano, e non da oggi, una specifica iniziativa del Governo e del Parlamento. Se la logica era quella di affrontare seriamente le cause di un allarme sociale così diffuso, si poteva ritenere giusto, sia pure partendo da diverse convinzioni e impostazioni, contribuire alla messa a punto di una legislazione efficace e adeguata ad affrontare in tempi certi l'emergenza in atto.
Sottolinea come il gruppo del Partito Democratico avesse immaginato di farlo prima, sulla base di una responsabilità di Governo e come fosse intenzionato a farlo adesso, nello spirito di un'opposizione che alla convenienza di parte sceglie di anteporre, come è giusto che sia, l'interesse del Paese e dei cittadini.
Ricorda queste cose per dire che da parte del Partito Democratico è stato fatto tutto il possibile.
Finita la campagna elettorale, si è tentato di ricondurre nel luogo deputato, che è il Parlamento, una discussione seria su una materia che per tante ragioni dovrebbe essere brandita come arma per la propaganda di parte. In primo luogo perchè affrontare il tema della «sicurezza» – non dal punto di vista culturale o della sociologia ma sotto il profilo delle norme – significa misurarsi con la sfera del diritto e della congruità delle soluzioni prescelte con il dettato della Costituzione e con i principi di tutela e dignità della persona, che nel corso degli anni sono venuti affermandosi e consolidandosi nella cornice del diritto interno e internazionale. Mutuando un'espressione, che ricorda essere propria di altri campi, rileva che si tratta di materie dove sempre dovrebbe valere un principio di precauzione al fine di evitare che lo slancio della propaganda (più o meno giustificabile quando ci si avventura alla ricerca dei voti) si tramuti, a urne chiuse, in una pessima prassi legislativa.
Osserva quindi come su queste basi si siano attese le deliberazioni del Governo e sulla base di queste premesse tali determinazioni siano state esaminate e valutate, traendone un giudizio fortemente negativo e, come è stato detto in alcuni precedenti interventi, di grave allarme. Il giudizio negativo è dovuto al contenuto delle norme sottoposte al Parlamento, alle procedure che le hanno accompagnate, alle loro implicazioni che vanno ben oltre i confini limitati del tema e finiscono coll'investire principi fondamentali dello Stato di diritto a partire dal concetto di eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge.
Evidenzia come le questioni di fondo, a questo punto, siano note e siano principalmente due.
Da un lato, l'introduzione di una specifica aggravante nel caso un reato di qualsiasi natura venga compiuto da un immigrato irregolare. Dall'altro la disposizione relativa alla sospensione per un anno dei procedimenti in corso per reati compiuti prima del giugno del 2002.
La prima norma, come è stato ripetuto più volte anche durante il dibattito al Senato, prima d'essere inefficace sul piano pratico è del tutto irragionevole e discriminatoria. Essa confligge con la Costituzione, con la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, con la stessa Dichiarazione universale dei diritti della persona.
Lasciando da parte il tema, pure rilevante, del cosiddetto reato di clandestinità (presente nel disegno di legge), nel senso dell'impatto che avrebbe una norma simile sul nostro apparato giudiziario chiamato a verificare la condizione soggettiva degli oltre settecentomila immigrati irregolari presenti sul territorio, il Governo, per voce del ministro Maroni, ha più volte rassicurato sull'applicazione ragionevole della norma e dunque sul suo effetto non retroattivo. A conferma del carattere puramente «dimostrativo» della norma stessa. Aspetto questo per nulla banale e sul quale occorrerà ritornare.
Restando al tema dell'aggravante, che è quello più prossimo perché inserito nel decreto in esame, si prevede che questa venga applicata agli «irregolari», vale a dire anche a quei cittadini che, entrati in Italia regolarmente con un permesso turistico (secondo stime della Polizia sono il 90 per cento degli ingressi) e magari avendo acquisito un primo permesso di soggiorno per motivi di lavoro, hanno visto scadere quel permesso, come spesso accade, per ragioni connesse alla burocrazia o anche a forme di impiego non continuative.
Sottolinea quindi come tali soggetti non siano dei delinquenti. Si tratta di gente semplice, onesta, perbene, Che a volte è già stata raggiunta da altri familiari e che spesso porta sulle spalle la responsabilità di una famiglia e la crescita di uno o più bambini. Certo, sono persone che hanno anche la caratteristica, quasi sempre molto dolorosa, di essere povere. È quella povertà e non il piacere dell'avventura, che li ha spinti verso il loro disperato viaggio della speranza.
Ricorda come vi siano molti modi per parlare a queste persone. Ma al di là dei modi c'è una questione di fondo che riguarda la concezione che si ha dei loro diritti e naturalmente anche delle loro responsabilità. Si può seguire la linea che di fatto alcune norme di questo decreto teorizzano: forzare sino all'estremo il tasto della repressione. Ciò anche a costo di violare principi fondamentali e sino a concepire l'irregolarità come un'aggravante in sé, al pari del compiere un delitto con crudeltà o efferatezza, o per motivi abietti.
L'aggravante in questo caso sarebbe nei fatti la povertà, con ciò che ne consegue sotto il profilo culturale della norma che si sceglie di introdurre. In altre parole, come è stato scritto autorevolmente: «l'aggravante è costruita su una condizione soggettiva priva di nesso con il reato commesso. Si ricorre allo strumento penale (per penalizzare l'irregolarità del soggiorno) in modo distorto rispetto alla sua funzione».
Evidenzia quindi come, prima d'essere una norma, quella espressa a proposito nel decreto sia una «linea», una «strategia» ispirata a una concezione punitiva che individua nel clandestino (o nell'irregolare) una categoria del «nemico». Sottolinea come su questo paradigma specifico (il «diritto penale del nemico» appunto che viene immesso in un circuito di commisurazione sanzionatoria parallelo a quello ordinario, caratterizzato però da un maggiore tasso repressivo), in anni recenti si è alimentato un dibattito ampio sia nella dottrina penalistica europea che statunitense.
La conseguenza nel nostro caso è che l'ordinamento previsto dalla norma in questione distorce la funzione dello strumento penale che viene piegato a sottolineare disvalori soggettivi.
In buona sostanza, la previsione di aumenti di pena ancorati alla condizione di irregolarità finisce col trasformare l'irregolare in una tipologia di «autore» valutato meritevole di un trattamento differenziato in senso repressivo. Ma in tal modo il fulcro del giudizio penale si sposta dal «fatto» all'«autore» con una conseguente rottura dell'equilibrio imposto dalla dimensione «costituzionalmente orientata» del diritto penale in cui il «disvalore oggettivo», nel senso del disvalore dell'azione e dell'evento, è antecedente rispetto al «disvalore soggettivo», costituito dai criteri personali della imputazione di responsabilità. Ribadisce che si tratta di una linea, di un'impostazione culturale, che il suo gruppo non condivide.
Diverso sarebbe favorire quel processo di integrazione degli immigrati che arrivano in Italia per lavorare e che cercano di vivere in condizioni di dignità e rispetto delle regole. Occorrerebbe farlo aiutandoli in questa loro fatica, non peggiorandone la condizione. In questa ottica forse sarebbe più ragionevole allungare i termini dei permessi di soggiorno per motivi di lavoro e introdurre eventualmente un permesso di soggiorno per la ricerca del lavoro e insistere su quella linea di pieni diritti di cittadinanza, compreso il diritto di voto alle elezioni amministrative per gli immigrati regolari.
Anche in questo modo si agisce sul fronte della repressione nei confronti di chi delinque. Sull'immigrazione clandestina che delinque o che rifiuta di declinare le proprie generalità per sfuggire a uno o più decreti di espulsione bisogna agire con fermezza, ma senza immaginare che le soluzioni simboliche o i messaggi di propaganda possano davvero facilitare l'operato delle autorità di pubblica sicurezza o della magistratura.
La seconda norma oggetto delle critiche più severe è la disposizione che sospende per un anno i procedimenti in corso per fatti antecedenti al giugno del 2002. Anche in questo caso la materia è nota, ma merita qualche osservazione aggiuntiva.
Rileva quindi come sia interessante la ragione della polemica. Si è detto più volte negli anni scorsi, a suo giudizio lo si è detto sulla base di argomenti convincenti, pur sottolineando che questa era e rimane una valutazione di parte, che l'attuale capo del Governo a più riprese ha piegato o cercato di piegare la legge ai propri interessi. Spesso anche interessi contingenti. L'opposizione sosteneva questa linea. Mentre ovviamente Governo e maggioranza la negavano. Questa volta sembra che le cose stiano diversamente.
Con un salto di qualità, che è certo negativo per le conseguenze che determina ma contiene almeno il pregio della chiarezza, non è l'opposizione ad agitare il sospetto di una legislazione di favore per il premier, ma è il premier stesso. Ricorda a tale proposito la lettera personale inviata da questi al Presidente del Senato, con la quale sono state rivendicate le motivazioni a sostegno della norma contestata. Ricorda che nella lettera si afferma espressamente che la sospensione di un anno consentirà alla magistratura di occuparsi dei reati più urgenti e nel frattempo al Governo e al Parlamento di porre in essere le riforme strutturali necessarie per imprimere una effettiva accelerazione dei processi penali, pur nel pieno rispetto delle garanzie costituzionali. Legge pertanto alcuni passi della lettera come quello in cui il Presidente del Consiglio afferma che i suoi legali lo hanno informato che tale previsione normativa sarebbe applicabile ad uno fra i molti processi, definiti fantasiosi, che magistrati di estrema sinistra hanno intentato contro di lui per «fini di lotta politica». Ricorda che nella lettera questi dichiara di aver preso visione della situazione processuale e di aver potuto constatare che si tratta «dell'ennesimo stupefacente tentativo di un sostituto procuratore milanese di utilizzare la giustizia a fini mediatici e politici, in ciò supportato da un Tribunale anch'esso politicizzato e supinamente adagiato sulla tesi accusatoria.».
Rileva come la scelta di contenuti e procedure non abbia precedenti analoghi nella vita istituzionale del Paese. Lo stesso presidente del Consiglio ha dichiarato successivamente che egli non intende avvalersi di tale norma in relazione al procedimento citato nella lettera al presidente del Senato. Ma ciò non rende meno rilevanti la scelta compiuta nel merito, la procedura adottata attraverso un emendamento che altera il profilo di un decreto già controfirmato dal Capo dello Stato e infine le ricadute che tutto ciò è destinato a determinare.
Cita altresì la previsione annunciata dall'Associazione Nazionale Magistrati in una conferenza stampa di qualche settimana fa, secondo cui l'emendamento che sospende per un anno i procedimenti in corso per fatti precedenti al giugno del 2002 bloccherà in un sol colpo centomila processi. Il numero non deve apparire spropositato o anche solo eccedente al quadro effettivo delle conseguenze. Sottolinea di non essere in grado di dirlo e di essere in attesa di conoscere le previsioni che a questo proposito sono state richieste ministro Alfano. Ma resta la sostanza. Rimane una norma che, a regime, avrebbe l'effetto di sospendere decine di migliaia di procedimenti giunti, in alcuni casi, alla soglia della sentenza di primo grado per reati che sono parte costitutiva di quell'allarme sociale che è all'origine dichiarata del provvedimento in esame. Cita quindi solo alcuni esempi: estorsione, rapina e furto in appartamento, stupro e violenza privata, bancarotta fraudolenta, sfruttamento della prostituzione, ricettazione, detenzione di materiale pedo-pornografico, omicidio colposo per colpa medica, maltrattamenti in famiglia e molestie, traffico di rifiuti, incendio e incendio boschivo, fino al reato di omicidio colposo per inosservanza delle norme sulla sicurezza stradale che l'articolo 4 del decreto affronta nei termini di un inasprimento delle sanzioni salvo poi negare, nello stesso provvedimento, la priorità nel trattamento di quella fattispecie di reato.
Rileva come, se ci si sforza di entrare nei panni e nello spirito del Governo e della maggioranza, la ratio di questa norma emerga con tutta la sua linearità. La norma in sé non trova alcuna giustificazione né supporto logico o razionale al di fuori della specifica contingenza che la origina (e che il Capo del Governo con un atto di oggettiva sincerità ha verbalizzato nella sua lettera al presidente Schifani). Ma il primo effetto che si determina è una negazione in radice (o una contraddizione logica) con quel principio di norma-simbolica che anche autorevoli esponenti del Governo hanno rivendicato come ispirazione del pacchetto complessivo.
Ribadisce che il Partito Democratico ha fatto la sua parte: l'ha fatta al Senato e la farà alla Camera, presentando una serie di emendamenti che riconfermano una posizione non pregiudizialmente ostile. Certamente si chiederà una correzione radicale o la soppressione di norme non condivisibili per ragioni di principio, ravvisando per altro in alcune di esse più di un elemento di incostituzionalità, ma anche sollecitando la maggioranza a recepire soluzioni che vanno unicamente nella direzione di rendere più efficace, coerente e incalzante il contenuto del provvedimento.
Sulle questioni di maggiore sostanza la maggioranza al Senato ha ritenuto di procedere per la propria strada, incurante delle richieste e degli appelli alla ragionevolezza che provenivano dall'opposizione. Auspica che alla Camera questo atteggiamento possa essere diverso. Nell'interesse di una buona normativa, di quella separazione dei poteri che è tratto costitutivo dell'ordinamento democratico, e della tutela stessa dello stato di diritto.
Pur rendendosi conto che non si vivono giornate particolarmente favorevoli a un clima, non tanto di collaborazione su questioni strategiche per l'assetto democratico del Paese, ma anche solo di dialogo e di recepimento della quota di verità e realismo presente nelle posizioni dell'altro, auspica e spera che una volontà residua di questo sforzo di obiettività rimanga tra quei colleghi della maggioranza che si avvedono dei pericoli presenti in alcune delle norme contenute nel provvedimento in esame. Negare la realtà e nascondersi i problemi non è quasi mai una buona pratica. Al di là dei numeri che si possiedono. Perché i rapporti di forza, quelli sì dipendono dai numeri, ma il rispetto del buon senso e, cosa più preziosa, del diritto e dei principi costituzionali, non sono una merce disponibile per questa o quella maggioranza. Sono un patrimonio di tutti. E della democrazia in primo luogo. Sarebbe saggio rammentarcene sempre.

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Le restrizioni in materia di ricongiungimento familiare dei cittadini stranieri sono state adottate dal Governo al di fuori delle proprie competenze e pongono seri ostacoli all'integrazione degli immigrati nel tessuto sociale

La Commissione affari costituzionali della Camera si appresta in questi giorni a dare un parere favorevole sullo schema di decreto legislativo predisposto dal Governo in materia di ricongiungimento familiare dei cittadini stranieri regolarmente presenti nel nostro territorio. Penso che dovremmo votare contro la proposta del relatore di dare parere favorevole allo schema per una ragione di metodo (il Governo non è abilitato ad approvare un simile provvedimento) ed una di merito (è introdotta una disciplina fortemente restrittiva della possibilità di chiedere il ricongiungimento familiare).
Quanto al primo profilo, il Governo sostiene di avere predisposto tale schema al fine di apportare correzioni ed integrazioni al decreto legislativo approvato dal Governo Prodi (d.lgs. 8 gennaio 2007, n. 5) che recepiva una direttiva comunitaria in materia (direttiva 2003/86/CE). Ciò è nelle facoltà del Governo e rientra nella delega conferita a quest'ultimo dal Parlamento a condizione che l'intervento sia limitato effettivamente a mere correzioni ed integrazioni. Nel caso in esame, invece, il provvedimento si ispira ad un indirizzo politico opposto rispetto a quello alla base del decreto legislativo adottato dal Governo Prodi e dunque il Governo sta agendo al di fuori della delega conferita dal Parlamento.
Quanto al merito, va detto che viene introdotto un ingiustificato restringimento alla possibilità per lo straniero di richiedere il ricongiungimento familiare: circoscrivendolo ai casi in cui il coniuge sia maggiorenne oppure il figlio maggiorenne non possa provvedere alle proprie indispensabili esigenze di vita in ragione di un'invalidità totale. Simili restrizioni minano alla base la stessa ragion d'essere di un istituto quale il ricongiungimento familiare, indispensabile nella disciplina dell'immigrazione in quanto strumento di integrazione sociale. E' inoltre previsto che, in caso di fondati dubbi, l'accertamento dei rapporti di parentela venga effettuato attraverso l'esame del DNA. Tuttavia non è stata introdotta alcuna delle previsioni raccomandate dal Garante per la protezione dei dati personali nel parere sullo schema di decreto legislativo circa le modalità attraverso le quali dovrebbe svolgersi il trattamento dei dati (e cioè il rigoroso rispetto della loro qualità e sicurezza, l'obbligo di una loro conservazione solo temporanea, il controllo sulla liceità del loro trattamento nei casi in cui l'organo competente si avvalga, per esso, della collaborazione di soggetti esterni). Si tratta nel complesso di disposizioni di chiaro intento xenofobo anche nei confronti di chi è regolarmente presente nel nostro Paese.

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Il bavaglio alle intercettazioni: a volte ritornano!

A proposito delle iniziative annunciate del Governo Berlusconi in materia di intercettazioni,ritengo utile ricordare le mie dichiarazioni a margine del ddl Mastella:(Seduta n. 145 del 14 aprile 2007) Signor Presidente, intervengo, a titolo personale, per dare giustificazione del mio voto di astensione in precedenza espresso sull'articolo 1 del disegno di legge e per motivare anche il voto di astensione sull'intero provvedimento. La legge sulle intercettazioni deve rappresentare il punto di equilibrio tra diverse esigenze di natura costituzionale: l'esigenza della giustizia, quella del diritto di cronaca e la tutela della vita privata spesso compromessa dalla diffusione di intercettazioni giudizialmente irrilevanti.
Quest'ultimo valore è ben tutelato nella legge dal segreto investigativo e dal potere di stralcio affidato al giudice; di questo aspetto ha parlato molto bene il collega Gambescia, al quale pertanto rinvio. Non egualmente convincente è quella parte dell'articolo 1 che estende il divieto di pubblicazione anche per gli atti non più coperti dal segreto investigativo. Bene si è fatto a rafforzare il perimetro del segreto predetto (in questo modo si sono tutelate le esigenze della giustizia), ma l'estensione del divieto di pubblicazione è andata troppo in là, sacrificandosi con il diritto di cronaca il diritto della pubblica opinione ad essere informata. Una legge ottimale avrebbe dovuto fermarsi prima e far coincidere estensione del segreto e divieto di pubblicazione. In questo caso avrebbero avuto un senso anche le sanzioni rafforzate che si sono previste. Con la soluzione adottata invece anche l'apparato sanzionatorio appare eccessivo ed iniquo. Ecco perché si può parlare di una buona legge con un grave neo e il neo tocca purtroppo un valore fondamentale come quello della libertà di informazione.
Questo è il motivo, in conclusione, per il quale insieme ad alcuni colleghi, come l'onorevole Giulietti, con i quali conduciamo campagne su questi temi, anche nell'ambito dell'associazione Articolo 21, non possiamo esprimere un voto positivo su questo disegno di legge.

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