Molti dubbi sulla costituzionalità di una riforma radiotelevisiva fatta per decreto

 

 

In poco più di un mese la Camera e il Senato hanno dato il via libera con un semplice parere corredato di alcune limitate osservazioni ad una delle più significative riforme degli ultimi anni del sistema radiotelevisivo. Naturalmente tutta l’opposizione si è rifiutata di condividere questo metodo.Ormai a questa deriva siamo arrivati. Tra decreti legge, deleghe, ordinanze di necessità, regolamenti di delegificazione, leggi comunitarie, il Parlamento italiano non fa più leggi. In quasi due anni ne sono state fatte una decina di significative (compreso il lodo Alfano, poi dichiarato incostituzionale, e il legittimo impedimento).Nel settore radiotelevisivo in Italia le riforme erano state caratterizzate sempre da importanti dibattiti in Parlamento e nel Paese. Questo era accaduto con la prima grande riforma del 1975. Poi con la c.d. legge Mammì del 1990 e  un dibattito molto impegnativo aveva caratterizzato anche la legge Maccanico del 1997 e la legge Gasparri del 2004. In quest’ultimo caso era intervenuto anche il Presidente della Repubblica Ciampi con il rinvio ed un importante messaggio alle Camere.Questa volta prendendo spunto da una direttiva del 2007/65/CE, elaborata in Europa dopo molti anni di riflessioni di dibattiti, di audizioni e di discussioni, il nostro Governo, in fretta e furia, utilizzando una delega estremamente generica contenuta nella legge comunitaria ha elaborato in gran segreto un decreto legislativo, tra l’altro diverso in molte parti dalla direttiva  ed ha portato al Parlamento il prodotto finale per un semplice parere non vincolante.Non c’era nessuna fretta. Sui ventisette paesi dell’UE solo quattro avevano già provveduto. Nonostante la scadenza formale, si poteva prendere più tempo e soprattutto si doveva far deliberare il Parlamento. In Francia la radiotelevisione è disciplinata con legge organica e su questi argomenti interviene il Parlamento. Anche da noi in presenza di diritti di libertà e di riserve assolute di legge sarebbe stato necessario l’intervento dell’Assemblea.Ma i problemi di costituzionalità non si limitano a questo pur decisivo rilievo. Altri se ne aggiungono che avrebbero dovuto far più attentamente riflettere. Nonostante sia stato formalmente richiesto dall’opposizione, non si è ritenuto opportuno chiedere neppure il parere della Commissione affari costituzionali. Eppure in ripetuti interventi dell’on Gentiloni e dell’on Giulietti si è sottolineata la possibilità di un eccesso di delega. Molte delle disposizioni contenute nel decreto non hanno alcun fondamento nella Direttiva comunitaria. Prima di tutto quella gravissima relativa all’estensione al web della disciplina relativa ai programmi radiotelevisivi, ma anche le modifiche (gratuite) delle quote di produzione e di trasmissione delle opere nazionali ed europee e i penalizzanti indici di affollamento per Sky. Dove sono i principi e criteri direttivi che la Costituzione impone per la delega? Il Parlamento è stato vistosamente aggirato.Ma un’altra grave violazione costituzionale sta nel fatto che l’intervento con un decreto legislativo statale ignora del tutto la competenza concorrente che in base all’art.117 della Costituzione le Regioni hanno sulla materia dell’ordinamento della comunicazione. Certo lo Stato può fare norme di principio, ma solo quelle e il decreto Romani contiene ben altro.In conclusione un’importante riforma del sistema tv fatto in tutta fretta e con vistose lacune costituzionali, sulla procedura  e sulla sostanza. E’ proprio il caso di dire che Romani,“la gatta frettolosa ha fatto i gattini ciechi”.

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